Assicurazioni - Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni privateISSN 0004-511X
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Cass. 10 maggio 2016, n. 9367 (di Marco Rossetti)


(Sez. III) – 10 maggio 2016, n. 9367 – Pres. Chiarini, Est. Frasca, P.M. Finocchi Ghersi (conf.) – G. (avv. Mandarano ed altro) c. C. e altri.

(Sentenza impugnata: App. Bologna 10 aprile 2013)

 

 

In tema di applicazione delle c.d. tabelle milanesi di liquidazione del danno, qualora dopo la deliberazione della decisione e prima della sua pubblicazione sia intervenuta una loro variazione, deve escludersi che l’organo deliberante abbia l’obbli­go di riconvocarsi e di procedere ad una nuova operazione di liquidazione del danno in base alle nuove tabelle, la cui modifica non integra uno “jus superveniensné in via diretta né in quanto e possano assumere rilievo, ai sensi dell’art. 1226 c.c., come parametri doverosi per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona (1).

 

(1) Dopo il fondamentale arresto pronunciato da Cass., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408, in questa Rivista, 2011, II, 503, con nota di M. Rossetti, Problemi e prospettive dopo la sentenza n. 12408 del 2011 della Corte di cassazione [con la quale si è stabilito che la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale deve essere effettuata da tutti i giudici di merito, in base a parametri uniformi, che vanno individuati (fatta eccezione per le lesioni di lieve entità causate dalla circolazione di veicoli e natanti, per le quali vige un’apposita normativa) nelle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, da modularsi secondo le circostanze del caso concreto], i problemi concretamente applicativi posti da tale decisione non hanno cessato di affannare gli interpreti. Si è discusso, in particolare (solo per citare i problemi più frequenti): se ogni minimo scostamento tra la sentenza di merito e le tabelle milanesi costituisca una violazione dell’art. 1226 c.c.; se la sentenza di merito possa ritenersi viziata per non avere applicato tabelle “aggiornate”; se sia onere dell’attore produrre le tabelle, ed entro quale termine.

La sentenza qui in rassegna affronta uno di questi infiniti problemi, ovvero la sorte della sentenza che abbia applicato tabelle non più aggiornate, nel caso in cui l’ag­giornamento sia diffuso nelle more tra la deliberazione della sentenza ed il suo deposito. A tale problema la Suprema Corte ha dato risposta negativa, affermando che le regole elaborate dalla giurisprudenza sullo jus superveniens non possano applicarsi anche alle tabelle milanesi, che legge non sono. Per uno spunto in tal senso si veda già, in precedenza, Cass., Sez. III, 25 febbraio 2014, n. 4447, in Foro it., 2014, I, 1834.

In argomento va ricordato che secondo Cass. 16 giugno 2016, n. 12397, la circostanza che il giudice di merito abbia liquidato il danno alla salute applicando tabelle diverse da quelle elaborate dal Tribunale di Milano, può essere fatta valere in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, soltanto ove la questione sia stata già posta nel giudizio di merito ed il ricorrente abbia altresì versato in atti le tabelle milanesi.

 

Sul piano processuale, secondo Cass. 15 giugno 2016, n. 12288, non soddisfa l’onere di autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., il ricorso per cassazione che si limiti a riportare le somme pretese in applicazione delle stesse, omet­tendo di indicarle specificamente tra i documenti ex art. 369, comma 2, c.p.c., e di individuare l’atto con il quale siano state prodotte nel giudizio di merito ed il luogo del processo in cui risultino reperibili; né è ammissibile la loro successiva produzione ex art. 372, comma 2, c.p.c., non trattandosi di documenti relativi all’ammissi­bilità del ricorso. In senso contrario, tuttavia, si è pronunciata Cass. 29 maggio 2012, n. 8557, secondo cui la “tabelle” uniformi predisposte dai Tribunali per la liquidazione del danno non patrimoniale non costituiscono dei documenti in senso proprio, né rappresentano degli elementi di fatto, come tali da allegare con gli atti introduttivi del giudizio, ma sono piuttosto assimilabili ai precedenti giurisprudenziali, che le parti possono invocare a sostegno delle proprie argomentazioni. Esse, pertanto, possono essere prodotte, anche in sede di legittimità, da parte di chi ne lamenti l’erro­nea applicazione da parte del giudice di merito, senza che ciò violi il divieto di cui all’art. 372 c.p.c.

 

La Corte (Omissis).

FATTO   1. Nel 2004 V.G. e L.G., costei in proprio e quale legale rappresentante del figlio minore S.E., G.M. e G.V. – tutti nella qualità di congiunti di N.V., il primo essendone il coniuge, la seconda la figlia, il terzo il nipote e gli ultimi due i genitori – convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Rimini G.C., M.C. e Generali S.p.A., per ottenere il risarcimento dei danni subìti per la morte della loro congiunta, avvenuta in occasione di un sinistro stradale occorso il 17 gennaio 2003 fra l’autovettura su cui si trovava trasportata e l’autovettura condotta da G.C., di proprietà di M.C. ed assicurata presso le Generali. 2. Il Tribunale, nella costituzione di M.C. e della società assicuratrice, con sentenza del 25 settembre 2007 rigettava la domanda con compensazione delle spese di lite, reputando che non fosse stata fornita dimostrazione della dinamica del sinistro e, peraltro, dando atto che erano state corrisposte dalla società assicuratrice a titolo risarcitorio a V.G. euro 80.00,00, a ciascuno dei genitori della de cuius euro 100.000,00 ed alla figlia L.G. euro 70.000,00. 3. Contro la sentenza gli attori proponevano appello e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 10 aprile 2013, nella costituzione delle Generali e di M.C., in proprio e quale tutore di G.C., riformava la sentenza di primo grado, reputando innanzitutto che a favore della de cuius operava, in qualità di trasportata, la presunzione di responsabilità del C. quale conducente dell’altro veicolo, in difetto di prova liberatoria da parte dei convenuti. In secondo luogo, la Corte bolognese – dopo avere disatteso l’eccezione degli appellati che assumevano avere gli attori agito solo in qualità di eredi della de cuius ed avere reputato che avevano agito sia in tale qualità che iure proprio – negava la configurabilità di un danno iure hereditatis per essere N.V. deceduta immediatamente dopo l’urto, mentre reputava che la decisione di primo grado fosse condivisibile solo quanto alla negazione del danno patrimoniale e non invece quanto alla negazione del danno non patrimoniale per la perdita della congiunta. Provvedeva, quindi, a liquidare tale danno a favore del marito, dei genitori e di L.G. in importi determinati al netto della «differenza tra quanto ricevuto in acconto nell’aprile del 2004 e il valore tabellare minimo del 2011 devalutato, per omogeneità di calcolo, alla data del­l’acconto ed individuato per tutti e quattro i soggetti in euro 135.513,61». Escludeva, invece, il diritto risarcitorio a favore del nipote E.S. Riconosceva, altresì, sulle som­me come sopra determinate la rivalutazione monetaria dall’aprile 2004 alla data della sentenza e gli interessi legali da computare sugli importi di anno in anno rivalutati con la medesima decorrenza fino al saldo. 4. Avverso la [continua..]