In tema di danno c.d. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l’erogazione INAIL ex art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall’Istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subìto dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l’indennizzo erogato dall’INAIL secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale; pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest’ultimo alla quota INAIL rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall’importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall’importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita INAIL destinata a ristorare il danno biologico permanente. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, pur accogliendo il criterio della comparazione tra poste omogenee, non aveva liquidato il danno per invalidità temporanea ed aveva calcolato il danno differenziale detraendo il valore della rendita dall’importo-base spettante a titolo di danno biologico, senza riconoscere la maggiorazione dovuta alla personalizzazione del danno stesso) (1).
(1) Il modo in cui si debba calcolare il c.d. “danno differenziale” (e cioè il risarcimento del danno civilistico spettante al lavoratore che, essendosi infortunato in occasione di lavoro per colpa altrui, abbia già percepito dall’assicuratore sociale l’indennizzo del danno biologico permanente previsto dall’art. 13 d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38) per lungo tempo aveva dato luogo ad opinioni assai diverse nella giurisprudenza di merito.
Secondo alcuni, infatti, il danno differenziale si doveva calcolare col criterio dello “scomputo integrale”, e cioè sottraendo dal complessivo danno civilistico il complessivo danno INAIL (Cass. 25 maggio 2004, n. 10035; nella giurisprudenza di merito, App. Milano 20 marzo 2014; Trib. Vicenza 29 aprile 2014; Trib. Reggio Emilia 7 marzo 2011, n. 330; Trib. Milano 9 giugno 2009, cit.; Trib. Vicenza 4 gennaio 2007); secondo altri si doveva invece applicare il criterio dello “scomputo per poste omogenee”, e cioè sottraendo dal credito risarcitorio spettante alla vittima per tutti i danni non patrimoniali civilistici, sommati tra loro (danno biologico permanente, danno biologico temporaneo, personalizzazione del risarcimento, ecc.) i danni non patrimoniali indennizzati dall’INAIL (Cass. 21 novembre 2017, n. 27669, cit.; Cass. 14 ottobre 2016, n. 20807; nella giurisprudenza di merito, Trib. Vicenza 29 aprile 2014); per un terzo orientamento, infine, il danno differenziale andrebbe calcolato col criterio “scomputo per poste”, e cioè sottraendo l’indennizzo dal risarcimento solo quando l’uno e l’altro abbiano identica natura e funzione.
Applicando quest’ultimo criterio, poiché è noto che l’INAIL indennizza il danno biologico permanente, ma non quello temporaneo, la vittima dell’infortunio conserva sempre un credito per “danno differenziale” nei confronti del responsabile, pari almeno all’ammontare del danno biologico temporaneo e, se dovuto, del danno c.d. morale (rectius, i pregiudizi non patrimoniali non aventi fondamento medico legale, come la tristezza o la vergogna).
La sentenza qui in esame, dando continuità ad un orientamento consolidatosi ormai da diversi anni, proclama senza mezzi termini che l’unico criterio corretto di calcolo del danno differenziale è quello dello “scomputo per poste”, ovvero della differenza “voce per voce”.
Fu dapprima Cass., Sez. III, 26 giugno 2015, n. 13222, in Foro it., 2015, I, 3169, ad affermare che al fine di calcolare il c.d. «danno biologico differenziale», spettante alla vittima nei confronti del terzo civilmente responsabile, dall’ammontare complessivo del danno biologico deve essere detratto non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare il danno biologico, dal momento che la rendita pagata dall’INAIL per invalidità superiori al 16% indennizza in parte il danno biologico, ed in parte il danno patrimoniale da incapacità di lavoro e di guadagno, che viene liquidato forfetariamente in base ai criteri di cui all’Allegato n. 5 al d.m. 12 luglio 2000.
Questo principio venne in seguito ribadito da numerose altre decisioni: da Cass. [ord.], Sez. VI, 30 agosto 2016, n. 17407, in Foro it., 2016, I, 3468; da Cass., Sez. Lav., 14 ottobre 2016, n. 20807, in Riv. dir. sicurezza sociale, 2017, 141; da Cass. [ord.], Sez. VI, 9 novembre 2016, n. 22862 (ove si afferma che il danno differenziale va computato sottraendo dal credito risarcitorio l’importo dell’indennizzo versato alla vittima dall’INAIL “per il medesimo pregiudizio”); da Cass., Sez. Lav., 10 aprile 2017, n. 9166, in Labor, 2017, 715; da Cass., Sez. Lav., 21 novembre 2017, n. 27669; Cass. 15 ottobre 2018, n. 25618; Cass. 2 marzo 2018, n. 4972. Nello stesso senso, per la giurisprudenza di merito, si vedano anche Trib. Taranto 27 ottobre 2016; Trib. Treviso 20 gennaio 2009; Trib. Camerino 19 luglio 2006.