In presenza di un patto di gestione della lite connesso ad una assicurazione della responsabilità civile, vanno distinti il rapporto di patrocinio, in virtù del quale l’avv. è tenuto a svolgere le difese dell’assicurato, dal contratto di prestazione d’opera, che il medesimo avv. stipula direttamente con l’assicuratore. La duplicità di tali rapporti fa sì che l’obbligo di remunerare l’avv. grava pur sempre sull’assicuratore, a nulla rilevando che il mandato alle liti sia stato materialmente sottoscritto dall’assicurato (1).
(1) Il principio costituisce corollario di altri e più risalenti princìpi, da tempo consolidati nella giurisprudenza di legittimità.
Il patto di gestione della lite, solitamente accessorio ad una polizza di assicurazione della responsabilità civile, costituisce un mandato (anche) in rem propria conferito dall’assicurato all’assicuratore (altri preferisce parlare di negozio misto, cui concorre la causa del mandato: così Cass. civ., Sez. III, 27 aprile 1973, n. 1149, inedita; Cass. civ., Sez. III, 22 novembre 1974, n. 3790), in virtù del quale quest’ultimo acquista il potere di trattare col danneggiato, transigere la lite con lui, adempiere direttamente nelle sue mani (così già Cass. civ., Sez. III, 18 maggio 1963, n. 1281, in questa Rivista, 1964, II, 2, 7; Cass. civ., Sez. III, 8 settembre 1970, n. 1332, ivi, 1971, II, 2, 232).Il patto di gestione della lite è per sua natura irrevocabile, talché la revoca rimane senza effetto, salvo il ricorso di una giusta causa da provarsi dal mandante (così già Cass. civ., Sez. III, 22 ottobre 1963, n. 2817, in questa Rivista, 1963, II, 2, 178).Da ciò discende che l’assicuratore ha il diritto di pretendere dall’assicurato il conferimento di un mandato ad lites nei confronti di legale scelto dall’assicuratore stesso, nonché il dovere dell’assicurato di conferire tale mandato. L’inadempimento dell’assicurato a detto obbligo, con il conseguente esonero dell’assicuratore dal rimborso delle spese di difesa, tuttavia, non può ravvisarsi nella semplice circostanza che il primo abbia nominato un proprio difensore (nella specie, in via d’urgenza, a seguito di instaurarsi di procedimento penale), occorrendo indagare sul comportamento dell’assicuratore successivo alla comunicazione di tale nomina (nella specie, consistente nell’aver affiancato un proprio legale al difensore nominato dall’assicurato), al fine di stabilire se l’assicuratore medesimo abbia inteso far valere il patto di gestione della lite, ovvero preferito ratificare la nomina effettuata dall’assicurato, o comunque rinunciare ai diritti derivantigli dal patto. Quando si verifichino queste ultime ipotesi, l’assicuratore non può esimersi dall’Onere delle spese di difesa, secondo i criteri dettati dall’art. 1917, comma 3, c.c. ciò anche in caso di contraria clausola di polizza, stante l’invalidità della medesima, ai sensi dell’art. 1932 c.c., ove pregiudichi i diritti riconosciuti all’assicurato dal citato terzo comma dell’art. 1917 c.c.(Cass. civ., Sez. I, 17 novembre 1976, n. 4276, in Giur. it., 1978, I, 1, 1978, I, 1, 620).Si ricordi che, secondo Cass. civ., Sez. III, 4 maggio 2018, n. 10595, inedita, l’assicurato contro i rischi della responsabilità civile, ove commetta un fatto illecito dal quale scaturisca una lite giudiziaria, può andare incontro a tre diversi tipi di spese processuali:
(a) le spese di soccombenza, cioè quelle che egli è tenuto a rifondere alla parte avversa vittoriosa, in conseguenza della condanna alle spese posta a suo carico dal giudice;
(b) le spese di resistenza, cioè quelle sostenute per remunerare il proprio difensore ed eventualmente i propri consulenti, allo scopo di resistere alla pretesa attorea;
(c) le spese di chiamata in causa, cioè quelle sostenute per convenire in giudizio il proprio assicuratore, chiedendogli di essere tenuto in caso di accoglimento della pretesa del terzo danneggiato. Le spese di soccombenza non costituiscono che una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall’assicurato, e perciò l’assicurato ha diritto di ripeterle dall’assicuratore, nei limiti del massimale.Le spese di resistenza non costituiscono propriamente una conseguenza del fatto illecito, ma rientrano nel genus delle spese di salvataggio (art. 1914 c.c.), in quanto sostenute per un interesse comune all’assicurato ed all’assicuratore. Tali spese perciò possono anche eccedere il limite del massimale, nella proporzione stabilita dall’art. 1917, comma 3, c.c. Le spese di chiamata in causa dell’assicuratore, infine, non costituiscono né conseguenze del rischio assicurato, né spese di salvataggio, ma comuni spese processuali, soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c., relative al rapporto processuale tra assicurato ed assicuratore.