I
Corte Suprema di Cassazione *
(Sez. Un.) – 6 maggio 2016, n. 9140 – Pres. Rordorf, Est. Amendola, P.M. Russo – Provincia Religiosa di S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli (avv. Pompa) c. Cattolica Assicurazioni scarl (avv. Coletti) e c. Reale Mutua Assicurazioni S.p.A., Zurich Insurance PLC, P.A., Duomo Unione Assicurazioni S.p.A., MMI Danni S.p.A.
(Sentenza impugnata: App. Roma 24 gennaio 2012)
Ass. responsabilità civile – Clausola claims made – Vessatorietà – Esclusione – Controllo di meritevolezza – Necessità – Sussiste.
Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile, la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola claims made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al d.lgs. n. 206/2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata (1).
II
Corte Suprema di Cassazione
(Sez. Un.) – 2 dicembre 2016, n. 24645 – Pres. Rordorf, Est. De Stefano.
Ass. in generale e danni in generale – Contratto – Clausola c.d. “claims made” – Copertura assicurativa – Natura vessatoria – Valutazione.
Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola claims made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al d.lgs. n. 206/2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata (2).
II
La Corte (Omissis).
FATTO
1. La controversia ha ad oggetto la domanda di garanzia di un ente ospedaliero, convenuto in giudizio per la responsabilità professionale di un sanitario alle sue dipendenze, soprattutto quanto alla validità della clausola claims made della polizza di assicurazione della responsabilità civile stipulata con la sua assicuratrice.
2. In particolare, la sentenza n. 17550/05 del Tribunale di Roma accolse la domanda risarcitoria per responsabilità professionale medica proposta in data 8 ottobre 2001 da A.G. (o, in altri atti, G.), anche quale genitore esercente la potestà sul minore A.M. (Omissis), nei confronti di un medico dipendente della Provincia Religiosa di S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli (con la chiamata in causa delle assicuratrici Aurora Assicurazioni e Assitalia Assicurazioni) e della Provincia stessa, per il decesso della congiunta V.C., rispettivamente coniuge e madre; e, per quel che in questa sede ancora interessa, pronunziò anche la condanna dell’assicuratrice della responsabilità civile della convenuta, l’Assitalia Assicurazioni [in forza e nei limiti della polizza n. (Omissis)], chiamata in causa da questa, a tenerla indenne delle somme oggetto di condanna.
3. La sentenza di primo grado fu però gravata di appello principale dall’assicuratrice ed incidentale dal danneggiato: ed il primo fu accolto dalla corte territoriale, che, escluso il carattere vessatorio e ogni altro profilo di invalidità o inefficacia della clausola “claims made” apposta alla polizza, in base alla medesima rigettò la domanda di manleva proposta dall’originaria convenuta, condannandola pure alle spese del doppio grado di lite.
4. Per la cassazione di tale sentenza, n. 4283 del 29 luglio 2013, ricorre oggi, affidandosi a cinque motivi, la Provincia Religiosa di S. Pietro dell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio Fatebenefratelli; resiste con controricorso, dispiegando a sua volta ricorso incidentale condizionato articolato su due motivi, la Generali Italia S.p.A. (già INA Assitalia S.p.A., succeditrice di Assitalia Assicurazioni); notifica controricorso altresì A.G., ancora nella qualità di esercente la potestà (o responsabilità) genitoriale sul minore A.M.
5. Rimessa, su istanza di parte, dal Primo Presidente la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite e prodotte da ricorrente principale e incidentale memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., è stata disposta tuttavia – con ordinanza interlocutoria 20 aprile 2016, n. 7946 – la rimessione sul ruolo, in mancanza di prova della notifica del ricorso a A.M., ad Aurora S.p.A. ed a S.V.; e, depositata ulteriore documentazione dalla ricorrente principale, per la pubblica udienza del giorno 8 novembre 2016, quella e la ricorrente incidentale depositano ulteriori memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., mentre la prima, dopo la discussione in udienza, deposita altresì note ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 379 c.p.c.
DIRITTO
6. In via preliminare, si rileva che la ritualità dell’instaurazione del contraddittorio dinanzi a questa Corte può dirsi comprovata anche all’esito dell’ulteriore attività della ricorrente principale, come sollecitata dalla precedente ordinanza interlocutoria.
A . L’oggetto del giudizio di legittimità
7. Ciò posto, si osserva che la ricorrente principale, dopo aver premesso un’articolata ricostruzione critica del contratto di assicurazione con clausola c.d. “claims made” ed illustrando per ciascun mezzo di censura le conseguenze negative, gli svantaggi e le violazioni che, a suo dire, subirebbe l’assicurato dalla stipula di un contratto assicurativo con detta clausola, imposto dalla compagnia senza possibilità di opzioni alternative, si induce:
– col primo motivo, a lamentare violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., per omesso esame della nota datata 17 luglio 2000, qualificata come decisiva per il giudizio, con cui comunicava alla società il sequestro penale della cartella clinica della V. e altri atti relativi al procedimento penale apertosi a seguito del decesso della stessa, con denuncia della responsabilità medica, sostenendo, in estrema sintesi, che tanto equivalesse alla richiesta di risarcimento prevista per l’operatività della copertura assicurativa;
– con il secondo motivo, ad addurre violazione e falsa applicazione degli artt. 1341 e 1917 c.c. (ex art. 360, n. 3, c.p.c.), nella parte in cui la sentenza disattende la natura vessatoria della clausola, negando l’atipicità del contratto assicurativo rispetto al modello legale previsto dall’art. 1917 c.c.;
– con il terzo e quarto motivo, a dolersi di violazione e falsa applicazione degli artt. 1341, 1917, 2964, 2965 (art. 360, n. 3, c.p.c.), sotto il profilo della negata natura vessatoria della clausola anche a volere riconoscere l’atipicità del contratto rispetto al modello legale, sotto il profilo tanto della limitazione della responsabilità (terzo motivo), quanto della limitazione alla libertà contrattuale nei rapporti con terzi (quarto motivo);
– con il quinto motivo, a censurare la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2965 c.c., come pure per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), sostenendo la nullità della clausola, che impone decadenze dall’esercizio del diritto, incompatibili con l’esercizio del diritto dell’assicurato.
8. Dal canto suo, col controricorso contenente ricorso incidentale condizionato, la Generali Italia S.p.A. (già INA Assitalia S.p.A.), dopo aver denunciato profili di inammissibilità del ricorso per la genericità dei motivi, il contenuto spesso politico più che giuridico delle difese, la falsa rappresentazione del modello contrattuale che regolamentava il rapporto assicurativo tra le parti, contesta poi i singoli motivi di censura e:
– quanto al primo, afferma come non fosse rispondente al vero che la Corte d’appello non avesse esaminato la nota del 17 luglio 2000, che invece era stata tardivamente dedotta nel giudizio, sicché della stessa quella Corte non poteva tener conto;
– del secondo, terzo e quarto motivo eccepisce l’inammissibilità e comunque l’infondatezza; evidenzia, in particolare, che il ricorso non si concentra tanto sulla ratio decidendi della sentenza impugnata, quanto piuttosto sulla ricostruzione dell’esegesi del precedente di legittimità – Cass. n. 5624 del 2005;
– che il giudice di merito non avrebbe tenuto in considerazione; sottolinea vari profili di infondatezza delle ragioni esposte dall’ente ospedaliero; ricostruisce il contratto assicurativo strutturato con la clausola claims made, negandone la natura vessatoria e sostenendone la liceità e tipicità;
– del quinto motivo denuncia l’inammissibilità perché confuso, per mescolanza e sovrapposizione di censure eterogenee e incompatibili, comunque sostenendone l’infondatezza, pure contestando le censure sulla mancanza di buona fede, di cui pure sostiene l’inammissibilità ed infondatezza.
9. La stessa Generali Italia propone infine ricorso incidentale condizionato:
– per il caso di accoglimento del primo motivo di ricorso, per violazione del giudicato interno formatosi a seguito dell’omessa riproposizione di eccezione ai sensi dell’art. 346 c.p.c., in relazione all’asserita denuncia del sinistro con la nota 17 luglio 2000 (ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.); sul punto censurando la sentenza d’appello per non aver accertato e dichiarato che su quella eccezione si era formato un giudicato interno, per non essere stata riproposta ai sensi dell’art. 346 c.p.c. in appello;
– per violazione e falsa applicazione dell’art. 1341 c.c. (360 n. 3 c.p.c.): in particolare censurando la sentenza d’appello, nella ipotesi di accoglimento del ricorso principale, nella parte in cui non ha accertato e deciso se il regolamento contrattuale tra le parti fosse stato o meno unilateralmente predisposto, e ciò al fine della necessaria preliminare verifica della sussistenza di uno squilibrio contrattuale, da cui discende il riconoscimento o meno della vessatorietà della clausola.
10. Infine, con il suo controricorso A.G. chiede la conferma della sentenza impugnata, non essendo diretto alcuno dei ricorsi contro i capi della sentenza che coinvolgono lui o suo figlio.
B . La rituale denunzia di sinistro in costanza di copertura assicurativa
11. Vanno esaminati congiuntamente il primo motivo di ricorso principale e, benché condizionato all’accoglimento del primo, il primo motivo di ricorso incidentale, siccome relativi alla questione dell’identificabilità o meno della denuncia di sinistro nella nota del 17 luglio 2000 (con cui era comunicata dall’assicurata all’assicuratrice la circostanza dell’intervenuto sequestro della cartella clinica relativa al decesso di V.C., avutosi il […], in relazione a procedimento penale apertosi su denuncia degli eredi di responsabilità del personale medico e dell’ospedale).
12. Un tale fatto è certamente decisivo, perché a tale data la copertura assicurativa sarebbe stata operante in ogni caso, vale a dire anche in ipotesi di piena operatività della contestata clausola “claims made”: infatti, nella specie, questa limitava la garanzia ai sinistri occorsi nel periodo di validità della polizza, cioè dal 31 dicembre 1998 al 31 dicembre 2000 (a tale data dall’assicuratrice anticipata l’originaria scadenza del 31 dicembre 2001), per i quali fosse intervenuta richiesta di risarcimento, da parte degli assicurati, nello stesso periodo di validità della polizza; mentre la controversia è stata decisa in base alla qualificazione, quale prima richiesta di risarcimento, della nota del 22 febbraio 2001 degli eredi, pervenuta quindi in tempo in cui la copertura assicurativa era spirata.
13. Nella struttura del vizio motivazionale, come restrittivamente disegnato dalla novella del 2012 (secondo le indicazioni di Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053, nonché di Cass., Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881), l’omesso esame deve necessariamente intendersi come una difettosa ricostruzione degli elementi rilevanti per il giudizio di fatto; ma, a meno di una impropria confusione di cause ed effetti, tale difetto non deve dipendere da una scelta consapevole del giudicante, legata a valutazioni esplicite o implicite di merito o perfino – come accade nella fattispecie – di rito per la cosciente applicazione di regole processuali; pertanto, la stessa scelta di non considerare un fatto è essa stessa l’esame del medesimo, ovviamente sub specie di rifiuto di riconoscerne – per ragioni di rito – ammissibilità o – per ragioni di merito – rilevanza ai fini della decisione.
14. Ne segue che l’omissione dell’esame di fatti, per rilevare ai fini del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. novellato, deve risolversi in una pretermissione involontaria o accidentale dell’esistenza di quelli, assai prossima per natura a quella che determina l’errore di fatto rilevante per la revocazione (ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c.) ma con la differenza che in questo caso del fatto le parti hanno discusso, dovendo altrimenti censurarsi – nei ristretti limiti in cui il controllo di motivazione sia ancora possibile in sede di legittimità – gli effetti del relativo ragionamento o il vizio consistente nell’erronea applicazione delle regole processuali che malamente hanno indotto ad escludere l’esame di quello specifico fatto storico.
15. Invero, nel momento stesso in cui quel fatto fosse stato valutato – anche per implicito e senza bisogno di una sua espressa menzione, ma risultando evidente la sua presa in considerazione – come non esaminabile per determinate ragioni, empiriche o logiche o giuridiche, la sua mancata considerazione dipenderebbe da una valutazione o considerazione a sua volta di merito oppure logico-giuridica e quindi o da un errore di fatto o da un errore di diritto e, cioè, in quest’ultimo caso, da un errore suscettibile di essere denunciato ai sensi dei nn. 3 o 4 dell’art. 360 c.p.c. solo quale vizio evidente di sussunzione, oppure, nel primo caso, risolvendosi nella valutazione del merito della controversia, di non essere denunciato affatto, siccome oggetto o segmento del complessivo apprezzamento e della complessiva ponderazione comparativa degli elementi istruttori ad opera del giudice del merito.
16. Ora, la corte territoriale non ha affatto omesso l’esame di tale fatto storico, ma ne ha ritenuto preclusa la disamina dalla sua qualificazione di tardiva deduzione, in quanto ad essa sottoposto soltanto con comparsa conclusionale: quindi, ne ha escluso l’ammissibilità, non ne ha pretermesso la considerazione; e tanto basta a qualificare di infondatezza il mezzo di censura della ricorrente principale, sotto il profilo formalizzato in rubrica.
17. Né può dirsi che la pacifica (lealmente ammettendolo la stessa ricorrente principale a pag. 37 del ricorso) mancata riproposizione della circostanza – della valida od idonea attivazione della garanzia fin dalla nota del luglio 2000 – prospettata entro i termini di maturazione delle preclusioni assertive ed a maggior ragione istruttorie di primo grado nella comparsa di costituzione in appello sia senza conseguenze.
18. Pur senza necessità di prendere specificamente posizione, perché non rilevante ai fini della decisione, sul momento preciso di maturazione della decadenza dal potere di riproposizione previsto dall’art. 346 c.p.c., è qui sufficiente rilevare che di certo tardiva è quella operata con la comparsa conclusionale in appello: tanto rispondendo, da un lato, a princìpi generali in ordine alla funzione ed alla natura di tale specifico atto (che, per giurisprudenza consolidata, è sempre e soltanto deputato all’illustrazione delle tesi e delle difese già ritualmente acquisite al materiale di causa – fra innumerevoli, v. Cass., Sez. Un., 9 marzo 1982, n. 1502 – e giammai all’ampliamento o al recupero di attività difensive non espletate nel grado cui si riferisce) e, dall’altro, all’elaborazione specifica maturata in tal senso fin da prima della novella del 1990/95 e, quindi, perfino in epoca in cui vigeva un rito assai più permissivo o generoso per le facoltà processuali delle parti (per tutte, Cass. 9 aprile 1984, n. 2267, che individua come sbarramento l’udienza di precisazione delle conclusioni in appello).
19. D’altra parte, la mera produzione di un documento in appello non equivale ad allegare in modo univoco i fatti che esso rappresenta: tanto è espressamente affermato per i documenti prodotti dall’appellante, in ossequio al principio di specificità dei motivi di appello (Cass. n. 8377 del 2009), ma si tratta di conclusione estensibile al contenuto minimo del precetto dell’art. 346 c.p.c. per le parti diverse da chi ha proposto l’impugnazione, non essendo ammessa una riproposizione per facta concludentia per l’esigenza della chiarezza ed univocità dei comportamenti cui collegare l’esclusione della formazione del giudicato per mancata impugnazione.
20. Il primo motivo di ricorso principale è quindi infondato e resta assorbito il correlativo primo motivo di ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento di quello.
C . La problematica dell’efficacia della clausola claims made
21. Ciò posto, i quattro restanti motivi di ricorso principale possono essere congiuntamente esaminati, attesa l’intima connessione, alla stregua della pronuncia resa, col n. 9140 il 6 maggio 2016, da queste Sezioni Unite in ricorso vertente su questione in larga parte analoga.
22. Devono, al riguardo, preliminarmente disattendersi le richieste della ricorrente principale di riconsiderare la questione alla stregua degli argomenti sviluppati da Cass. 10 novembre 2015, n. 22891, come pure quelle della ricorrente incidentale di ulteriori puntualizzazioni in merito ai princìpi affermati con detto precedente: bastando qui rilevare che, per la completezza della ponderazione di tutti gli argomenti rilevanti per la risoluzione della questione, la pronuncia di queste Sezioni Unite n. 9140/16 deve ritenersi estesa anche a quelli diversamente valutati dal precedente a sezione semplice, a prescindere dal fatto che questo sia stato o meno espressamente preso in considerazione; mentre le ulteriori precisazioni richieste dalla ricorrente incidentale sono del tutto irrilevanti ai fini della decisione della presente fattispecie e le questioni che involgono vanno lasciate del tutto impregiudicate.
23. Ora, il detto precedente di queste Sezioni Unite, all’esito di ampie argomentazioni e facendosi carico sostanzialmente di tutti gli argomenti agitati dall’odierna ricorrente principale ed esclusa pure la pretesa nullità della clausola in esame sotto qualsiasi profilo, ha concluso, in punto di diritto, nel senso che “nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. clausola claims made mista o impura) non è vessatoria; essa, in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata”.
24. A tale orientamento, di recente enunciazione e per rimeditare il quale non si colgono elementi di novità nelle pur diffuse e reiterate argomentazioni della ricorrente, riproduttive di tesi esaurientemente affrontate nel richiamato precedente, si stima doveroso assicurare continuità e garantire inoltre applicazione alla fattispecie concreta, per l’identità dei relativi elementi costitutivi.
25. Similmente a quanto accaduto in quella fattispecie, infatti, relativa ad una situazione analoga a quella per cui è causa, in cui era assicurata la medesima odierna ricorrente, anche qui deve ritenersi dirimente, in ordine allameritevolezza, il rilievo che la Corte capitolina ha valorizzato, ancorché al fine di escludere la vessatorietà della clausola, la condizione di favore per l’assicurato rappresentata dall’allargamento della garanzia ai fatti dannosi verificatisi prima della conclusione del contratto: ciò che pure nella fattispecie oggi vagliata dimostra, in maniera inequivocabile, che il giudice di merito ha condotto lo scrutinio anche e soprattutto in chiave di (complessiva) meritevolezza della disciplina pattizia che era chiamato ad applicare; e che porta a concludere come un simile positivo apprezzamento della sua sussistenza, in assenza di elementi volti ad evidenziarne irragionevolezza od arbitrarietà, debba, in applicazione dei princìpi affermati nella richiamata sentenza n. 9140/16 di questa Corte, ritenersi incensurabile nella presente sede di legittimità.
26. A tanto si aggiunga, quanto alla doglianza di nullità ai sensi dell’art. 2965 c.c. o circa la modalità subdola d’inserimento della clausola nel regolamento contrattuale, che la corte territoriale, sia pure con motivazione molto sintetica, ha escluso (pag. 5) che la clausola stessa integri violazione di qualunque norma imperativa e quindi anche di quella invocata dall’odierna ricorrente e ha motivato (pag. 4) sul fatto che il contratto era stato concluso all’esito di una specifica trattativa anche sul punto specifico: così motivando sull’insussistenza dei fatti costitutivi addotti, i quali peraltro resterebbero irrilevanti nella ricostruzione di Cass. S.U. n. 9140 del 2016.
27. Pertanto, si impone il rigetto degli ultimi quattro motivi di ricorso principale, ciò che determina l’assorbimento del secondo motivo di ricorso incidentale: appena essendo il caso di notare che nessuna ulteriore eventuale questione proposta per la prima volta con una delle memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., come ad esempio quella della rilevanza del recesso ad nutum da parte dell’assicuratrice nel complessivo equilibrio del sinallagma contrattuale, sarebbe ammissibile, visto che il ruolo di quelle memorie è soltanto quello di illustrare le tesi già ritualmente proposte e non quello di ampliare il tema della decisione di questa Corte di legittimità.
D . Conclusioni
28. Il ricorso principale va, nel suo complesso, rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
29. Tuttavia, l’estrema complessità della materia, già considerata nel richiamato precedente di questa Corte, vale ad integrare gli estremi dei giusti motivi – in applicazione dell’art. 92 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis, essendo iniziato in primo grado il giudizio in data 8 ottobre 2001 – per una totale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità, anche quanto ai rapporti tra la ricorrente principale ed il controricorrente A.
30. Infine, solo per la ricorrente principale, visto che il ricorso incidentale condizionato è stato dichiarato assorbito, trova applicazione mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955) l’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da essa proposta, a norma del comma 1-bis del detto art. 13.
Per questi motivi la Corte, pronunciando a Sezioni Unite:
– rigetta il ricorso principale;
– dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato;
– compensa le spese del giudizio di legittimità;
– ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/02, come modif. dalla l. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della sola ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. (Omissis).
Articoli Correlati: clausola claims made - copertura assicurativa - natura vessatoria - contratto
1. Il caso e i precedenti - 2. Il rischio assicurato nell'assicurazione della responsabilità civile: definizione legale e definizione pattizia - 3. Clausole claims made e controllo di meritevolezza ex art. 1322 c.c. - NOTE
La sentenza n. 9140/2016 in commento trae origine da una vicenda di malpractice medica, nella quale il paziente danneggiato conveniva in giudizio un ente ospedaliero perché fosse condannato al risarcimento dei danni subìti a causa delle condotte colpose dei medici che lo avevano avuto in cura. Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda e condannava altresì le compagnie assicurative chiamate in causa a manlevare l’ente ospedaliero assicurato, ritenendo che non potesse operare la clausola claims made contenuta nel contratto di assicurazione, in quanto illegittimamente derogativa dello schema legale previsto dall’art. 1917 c.c. Una delle compagnie assicurative – anche in qualità di delegataria delle altre compagnie coassicuratrici – proponeva quindi appello. L’impugnazione veniva accolta dalla Corte d’appello di Roma che, riformando la sentenza di primo grado, affermava la piena validità delle clausole claims made e ne escludeva la vessatorietà. Avverso la suddetta sentenza della Corte d’appello proponeva ricorso per cassazione l’ente ospedaliero assicurato, sostenendo la nullità della clausola claims made: i) in quanto vessatoria a norma dell’art. 1341, comma 2, c.c., poiché darebbe luogo ad una illegittima limitazione della responsabilità dell’assicuratore; ii) poiché darebbe luogo ad una decadenza convenzionale tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto all’indennità assicurativa da parte dell’assicurato, ex art. 2965 c.c.; iii) per contrarietà ai princìpi di buona fede e correttezza, poiché formulata in modo da non essere completamente intellegibile. Le Sezioni Unite della Suprema Corte, nel motivare il rigetto del ricorso, hanno preliminarmente chiarito che l’art. 2965 c.c., sulla nullità della decadenza pattizia, non è applicabile alla clausola claims made, trattandosi di fattispecie differenti. Ed infatti la prima si riferisce a situazioni soggettive attive già esistenti nonché a condotte imposte a uno dei soggetti del rapporto contrattuale nell’ambito del quale la decadenza è stata prevista; la seconda, invece, incide (non su di un diritto già acquisito, ma) sulla nascita stessa del diritto all’indennizzo. Quindi, le Sezioni Unite hanno escluso che la violazione dei canoni di buona [continua ..]
Il rischio assicurato nelle assicurazioni di responsabilità civile è sempre e solamente la diminuzione patrimoniale dell’assicurato, non già quella del patrimonio del terzo danneggiato. La diminuzione del patrimonio dell’assicurato rilevante ai fini dell’insorgenza del sinistro, peraltro, è solo quella derivante dal fatto illecito dedotto nel contratto come rischio assicurato. Non tutti i fatti illeciti che l’assicurato può porre in essere sono idonei a far nascere la garanzia; infatti, alcuni di essi sono inassicurabili ex lege, come ad es. i fatti dolosi; altri, pur essendo tecnicamente assicurabili, potrebbero non essere di fatto assicurati, nel senso di essere esclusi convenzionalmente dalle parti dall’oggetto dell’assicurazione. Nelle assicurazioni di responsabilità medica, è frequente l’esclusione dei danni da emotrasfusioni, da mancata acquisizione del consenso informato, per cadute accidentali sul posto di lavoro, e così via. Nelle polizze di assicurazione della responsabilità civile, ci troviamo, quindi, spesso, di fronte ad una definizione del rischio assicurato (o di esclusioni) che altro non è se non la concreta determinazione dell’oggetto del contratto. Tra le convenzioni atte a questo scopo, si annoverano anche quelle predisposte dalle parti ad identificare quali fatti dannosi, secondo un criterio temporale, sono idonei ad attrarre la garanzia assicurativa e quali no. In questo senso, nella prassi assicurativa, si distinguono due macro-tipologie di contratti: quelli c.d. loss occurrence e quelli claims made o first claim made. Queste convenzioni sono idonee ad identificare in concreto quale “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” di cui all’art. 1917 c.c. sia idoneo ad attrarre la garanzia assicurativa: fermo restando, si intende, che il tipo di assicurazione – di responsabilità civile – rimane sempre eguale a se stesso. Con la conseguenza che il sinistro può considerarsi verificato solo allorché si dia corso alla diminuzione patrimoniale, non già solo all’illecito. Nei contratti loss occurrence, il fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione coincide con il fatto generatore ovvero con il danno occorso al terzo e imputabile all’assicurato [5]. Nei contratti claims made, il fatto accaduto [continua ..]
Osservano le Sezioni Unite quanto segue: “i dubbi avanzati da questa Corte allorché, interrogandosi in un obiter dictum sulla validità dell’esclusione dalla copertura assicurativa di un sinistro realizzato nel pieno vigore del contratto, in quanto la domanda risarcitoria era stata per la prima volta proposta dopo la scadenza della polizza, ebbe a ipotizzare problemi di validità della clausola, considerato che, in casi siffatti, verrebbe a mancare, ‘in danno dell’assicurato, il rapporto di corrispettività fra il pagamento del premio e il diritto all’indennizzo’ (cfr. Cass. civ. 17 febbraio 2014, n. 3622), non appaiono passibili di risposte univoche, in disparte il loro indiscutibile impatto emotivo”. Le non univoche risposte che le Sezioni Unite offrono sono in sintesi le seguenti: a) il giudizio di meritevolezza non deve essere condotto in riferimento alle clausole c.d. pure, posto che le stesse non prevedono limitazioni temporali di retroattività; b) il giudizio di meritevolezza deve perciò condursi solo sulle clausole impure, ed in particolare su quelle che esigono che tanto l’illecito quanto anche la richiesta di risarcimento debbano risultare verificatisi durante la vigenza del contratto; c) in presenza di determinate condizioni, la clausola claims made impura può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, qualora sia applicabile la disciplina del codice del consumo, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Il ragionamento della Corte – pur se dichiaratamente ad abundantiam – muove (n. 18) dall’art. 33, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cod. cons.) per il quale nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Questa norma consente al giudice di espungere la clausola vessatoria senza travolgere il contratto (art. 36 cod. cons.), in applicazione dell’istituto della c.d. nullità di protezione, tipica della disciplina consumeristica. Tuttavia, il codice del consumo è chiaro nell’escludere che la valutazione della vessatorietà della clausola possa attenere alla [continua ..]