Assicurazioni - Rivista di diritto, economia e finanza delle assicurazioni privateISSN 0004-511X
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Sugli incerti confini del concetto di 'occasionalità necessaria' quale presupposto della responsabilità ai sensi dell'art. 2049 c.c. (di Ilaria Riva )


I
Tribunale di Padova

25 maggio 2016 – Giudice dott.ssa S. Rigon – E.S. (avv. Finesso) c. U.A. S.p.A. (avv. Pertile) e M.M.

Responsabilità padroni e committenti – Art. 2049 c.c. – Illecito dell’agente assicurativo – Responsabilità solidale dell’impresa di assicurazioni – Mancanza del nesso di occasionalità necessaria.

 

Non sussiste la responsabilità, ex art. 2049 c.c., dell’impresa assicuratrice per l’at­tività illecita posta in essere dall’agente, qualora tale attività esorbiti dall’incarico affidatogli, sì da configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (1).

II

Tribunale di Arezzo

2 marzo 2016 – Giudice dott. A. Mattielli – Si.Lu. (avv. Cerofolini) c. Groupama Assicurazioni S.p.A. (avv. Roma e Cuccuini) e Finital S.p.A. (avv. Borri).

Responsabilità padroni e committenti – Art. 2049 c.c. – Illecito dell’agente assicurativo – Responsabilità solidale dell’impresa di assicurazioni – Sussistenza.

 

Sussiste la responsabilità ai sensi dell’articolo 2049 c.c. dell’impresa assicuratrice per il fatto lesivo causato dall’attività illecita posta in essere dall’agente, ancorché privo del potere di rappresentanza, il quale sia stato determinato, agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli e su cui la medesima aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (2).

 

I

 

Il Tribunale (Omissis).

 

FATTO E DIRITTO

 

(Omissis) La sig.ra E.S. conveniva in giudizio U.A. S.p.A. nonché il suo (ex) agente generale sig. M.M., al fine di sentirli condannare al pagamento in suo favore della somma di euro 44.585,45 oltre interessi legali, quale rimborso del capitale prefissato comprensivo di terminal bonus dovuto dalla compagnia assicuratrice alla sca­denza del contratto di assicurazione sulla vita (Omissis) stipulato dalla sig.ra S. con U.A. S.p.A., in data 5 maggio 2006, per tramite dell’agente M. ovvero in via subordinata a titolo di risarcimento dei danni subìti per gli illeciti di natura anche penale commessi in suo danno ai sensi degli artt. 1228 c.c. e/o 2049 c.c.

Si costituiva in giudizio U.A. contestando in fatto e in diritto le pretese attoree di cui chiedeva il rigetto, sostenendo l’inammissibilità della tutela contrattuale invo­cata dall’attrice, l’insussistenza di un nesso di causalità tra il fatto illecito del com­messo ed il danno di cui è stato richiesto il risarcimento; l’insussistenza dei presupposti giuridici per l’applicabilità dell’art. 2049 c.c. quanto alla nozione di “commesso”; l’insussistenza dei presupposti giuridici per l’applicabilità dell’art. 2049 c.c. quanto all’esercizio delle mansioni affidate al “commesso”; il concorso di colpa del­l’attrice quanto al quantum della pretesa risarcitoria.

La causa viene decisa sulla base dei documenti prodotti dalle parti, ritenuta l’inam­missibilità e irrilevanza della prova orale chiesta dall’attrice.

Le domande proposte da parte attrice, sia in via principale che in via subordinata, nei confronti della U.A. S.p.A. non meritano accoglimento, per i motivi di seguito esposti.

Secondo le allegazioni attoree la sig.ra S. avrebbe consegnato all’agente M. a mezzo assegno bancario intestato al M. la somma di euro 35.000,00 al fine di stipulare, in data 5 maggio 2006, una polizza assicurativa sulla vita a premio unico (doc. 5 parte attrice).

U.S. ha però negato il rimborso della suddetta polizza, contestando la validità del contratto per il quale non risultava il pagamento.

L’attrice, in primo luogo, sul presupposto della validità del contratto, in quanto contratto dall’agente M.M. in nome e per conto della compagnia di assicurazione, ha chiesto il rimborso delle somme investite in ragione della responsabilità contrattuale della assicurazione, ovvero in applicazione del principio dell’apparenza; in via subordinata ha chiesto la condanna della convenuta U. e del M. in solido al risarcimento del danno ex art. 2049 c.c. in conseguenza della condotta illecita dell’ex agente.

Quanto alla invocata responsabilità contrattuale della compagnia, l’attrice ha sostenuto la legittimazione del M. alla conclusione di contratti assicurativi sulla vita e, in ogni caso, in virtù dell’applicazione del principio dell’affidamento, la validità del contratto per avere confidato nella legittimazione dell’allora agente U.M. dell’agen­zia P. s.n.c. di Monselice.

Ebbene, in primo luogo, il contratto di assicurazione sulla vita n. (Omissis), asseritamente stipulato dall’attrice in data 27 settembre 2005, (doc. 5 parte attrice) è stato espressamente e formalmente disconosciuto dall’Assicurazione con la comparsa di costituzione, sia sotto il profilo della conformità all’originale sia sotto il profilo della genuinità, senza che parte attrice abbia proposto istanza di verificazione dei documenti ex art. 216 c.p.c., né prodotto l’originale.

Come sostiene autorevole dottrina, sebbene di regola l’onere del vero e proprio disconoscimento presupponga che il documento provenga dalla parte contro la quale è prodotto, in quanto essa ne appare sottoscrittore, tuttavia un identico onere grava sulla parte anche qualora la sottoscrizione sia ad essa riferibile perché opposta da un soggetto che lo rappresenti o in quanto munito di procura oppure – come nel caso in cui la parte sia un persona giuridica – in virtù di un rapporto organico, senza che la parte contro cui il documento è prodotto sia tenuta a proporre querela di falso (in tal senso cfr. Cass. 30 gennaio 2014, n. 2095; Cass. 19 luglio 2004, n. 13357; Cass. 13 settembre 1997, n. 9131; Cass. 22 dicembre 1994, n. 11074; Cass. 17 luglio 1980, n. 4649).

È proprio parte attrice che ha agito sul presupposto di un potere di rappresentanza dell’agente nei confronti della compagnia di assicurazione convenuta e che ha fon­dato la sua domanda sul valore dei documenti prodotti.

Orbene, di fronte all’intervenuto formale disconoscimento, ai sensi e per gli effetti dell’art. 214 c.p.c., di un documento sul quale l’attrice ha fondato la domanda, la stessa avrebbe potuto e dovuto tempestivamente chiedere la verificazione del documento, ai sensi dell’art. 216 c.p.c.; non avendolo fatto di tale documento non può tenersi conto ai fini delle domande svolte nei confronti di U.

Inoltre, correttamente la convenuta evidenzia che, avendo l’attrice esperito, oltre all’azione aquiliana, anche un’azione di natura contrattuale, il documento (doc. 5 parte attrice) è stato prodotto sul presupposto che esso provenisse dalla compagnia, e non certo da un terzo privo di collegamento con la stessa.

Perciò la convenuta U. era legittimata a disconoscerne la provenienza, sostenendo che si trattava di mera fotocopia (art. 2719 c.c.) non conforme all’originale e in ogni caso (art. 214 c.p.c.) di documento non genuino perché contraffatto utilizzando il logo della compagnia. In casi analoghi la Suprema Corte ammette la legittimazione al disconoscimento del documento (cfr. Cass. 19 luglio 2004, n. 13357; Cass. 30 gennaio 2014, n. 2095).

Il documento prodotto dalla attrice (doc. 5) è dunque inutilizzabile in relazione alla domanda contrattuale svolta in via principale nei confronti della compagnia di assicurazioni.

Ancora. In relazione all’invocata responsabilità contrattuale della compagnia, l’art. 1388 c.c. prevede che il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’inte­resse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitigli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato.

Ebbene, anche a voler superare l’avvenuto disconoscimento del contratto, la com­pagnia ha evidenziato che, come risulta dall’art. 3 del contratto di agenzia, alla P. s.n.c. di F. e M., come alle sue agenzie sul territorio, era vietato di stipulare, in nome e per conto della compagnia assicuratrice U., contratti di assicurazione sulla vita (doc. 1 parte convenuta).

Il contratto di agenzia che regolava i rapporti tra la compagnia U. e la società P. era conoscibile a chiunque, perché pubblicato sul registro delle imprese.

Infine, non può servire a sostenere la domanda attorea il riferimento alla apparenza del diritto e al principio dell’affidamento, in forza del quale l’attrice avrebbe incolpevolmente confidato nella piena legittimazione del M. alla stipula di contratti di assicurazione sulla vita.

Ai sensi dell’art. 1398 c.c. colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitigli è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto.

Non solo non risulta provata la colpa della compagnia (né la richiesta prova testimoniale era idonea a provarla), ma, al contrario, non può essere ritenuta incolpevole la condotta di chi, come l’attrice, avrebbe effettuato un rilevante pagamento con assegno bancario intestato al M. – in ogni caso non intestato a U., in tesi attorea contraente della polizza – per la rilevante somma di euro 35.000,00 euro senza verificare i poteri rappresentativi dell’agente.

Tale modalità di pagamento vale in ogni caso ad escludere la possibilità di un controllo da parte dell’assicurazione.

All’applicabilità della teoria dell’apparenza del diritto si oppongono, nel caso di specie, oltre alla mancanza di colpa della compagnia, la falsità del contratto assicurativo nonché la situazione colposa dell’attrice E.S. che avrebbe stipulato una polizza assicurativa sulla vita presso la propria abitazione, senza alcun questionario anamnestico, pagando con un assegno non intestato alla controparte contrattuale in palese violazione delle norme in materia, che sarebbe stato versato all’agente anziché alla compagnia, e senza verificare i poteri rappresentativi dell’agente (art. 1393 c.c.).

La giurisprudenza ha chiarito che “la procura rilasciata agli agenti (ed ai subagenti) di assicurazione è assoggettata alla forma pubblicitaria della pubblicazione nel registro delle imprese. La previsione di tale regime si desume dalla formulazione dell’art. 1903, comma 1, c.c. Ed infatti, pur facendo la predetta norma generico riferimento alla pubblicazione della procura ‘nelle forme richieste dalla legge’, deve ri­tenersi, in assenza di altre norme che regolino la pubblicazione della procura di cui si tratta, che il rinvio operato dal citato art. 1903 riguardi solo le modalità procedurali della pubblicazione, che, tenuto conto della natura del soggetto rappresentato, vanno identificate in quelle previste in via generale per gli imprenditori commerciali dagli art. 2188 ss. c.c. Ne consegue che il terzo che abbia omesso di verificare l’esistenza e la portata dell’attribuzione dei poteri in questione non può invocare il principio dell’affidamento facendo valere una incolpevole aspettativa di fronte al­l’apparenza del diritto” (Cass. 3 novembre 1998, n. 10978).

Ancora. “Qualora un agente di assicurazione, privo del necessario potere rappresentativo, sottoscriva un testo contrattuale che deroghi in melius per l’assicurato alle condizioni generali di polizza, tale documento non è vincolante per l’assicuratore se le limitazioni al potere rappresentativo dell’agente erano state debitamente rese pub­bliche nelle forme di legge, a nulla rilevando l’eventuale ignoranza incolpevole del­l’assicurato, posto che in tema di responsabilità dell’assicuratore per il fatto dell’agen­te non è invocabile l’art. 2384 c.c. (il quale disciplina l’opponibilità a terzi delle limitazioni ai poteri rappresentativi degli amministratori di società per azioni), norma speciale insuscettibile di applicazione – nemmeno in via analogica – al di fuori dei casi in essa previsti” (Cass. 28 agosto 2007, n. 18191).

In particolare, sulle polizze vita si afferma che: “in tema di rappresentanza, l’applicabilità del principio dell’apparenza del diritto richiede che il rappresentato abbia tenuto un comportamento colposo tale da ingenerare nel terzo il ragionevole convincimento che al rappresentante apparente fosse stato effettivamente conferito il relativo potere e che il terzo abbia in buona fede fatto affidamento sulla esistenza di detto potere, non potendosi in ogni caso invocare in via analogica il diverso principio ricavabile dall’art. 2384 c.c., dettato per le società” (Cass. 28 agosto 2007, n. 18191).

La domanda fondata sulla responsabilità contrattuale è dunque infondata.

Parimenti infondata è la domanda subordinata di condanna della compagnia, ex art. 2049 c.c., per il fatto illecito del M.

In astratto, pertinente appare il richiamo all’art. 2049 c.c., quale fondamento della responsabilità della compagnia assicurativa in ipotesi di condotta illecita posta in essere dall’agente infedele.

Nell’evoluzione interpretativa dell’art. 2049 c.c. si rileva che i termini “padroni e committenti” non individuano con esattezza le varie relazioni, tanto che una rigida determinazione degli elementi del rapporto potrebbe costituire un ostacolo alla rilevazione di una realtà fluttuante e in continua evoluzione.

È chiaro che l’art. 2049 c.c. contiene una formula obsoleta che risponde a logiche socio-economiche degli anni ’40, quando le aree di possibile propagazione del­l’attività erano il lavoro domestico e di committenza.

La ratio della norma era comunque la tutela dell’affidamento del terzo, che si relazionava come emanazione del “padrone”, e sulle cui disponibilità si riteneva coerente facesse affidamento nel caso avesse dovuto subire un pregiudizio fonte di danno risarcibile. Essendosi completamente modificate – rispetto all’impianto tradizionale del codice civile – le dinamiche economiche e sociali si è reso necessario, da parte degli interpreti, un adattamento della disposizione alle nuove realtà, salvaguardando l’obiettivo di tutela del terzo.

La Cassazione ha quindi riconosciuto la responsabilità, ex art. 2049 c.c., della compagnia assicuratrice per l’attività illecita posta in essere dall’agente, ancorché privo del potere di rappresentanza, che sia stata agevolata o resa possibile dalle incombenze demandategli e su cui la medesima aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e vigilanza, senza che assumano rilievo né la continuità dell’incarico affidatogli, né 1’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (Cass. 22 luglio 2007, n. 14578; Cass. 3 aprile 2000, n. 4005; Cass. 21 giugno 1999, n. 6233; Cass. 22 marzo 1994, n. 2734).

La responsabilità sorge, in altri termini, per il solo fatto dell’inserimento dell’agen­te nell’impresa, senza che assumano rilievo né la continuità dell’incarico affidatogli, né l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato; è sufficiente che il comportamento illecito sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dal­l’imprenditore e che il “commesso” abbia svolto la sua attività sotto il controllo del primo.

L’attribuzione all’agente della facoltà di riscuotere i premi va considerato elemento idoneo ad instaurare un rapporto di commissione atto a far sorgere, ex art. 2049 c.c., la responsabilità di chi aveva conferito l’incarico.

Quanto poi ai caratteri del rapporto di preposizione ed al nesso di occasionalità necessaria tra l’atto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni a lui affidate, per l’applicazione dell’art. 2049 c.c. si è ritenuto sufficiente che le suddette mansioni abbiano reso possibile o agevolato il comportamento produttivo di danno (così Cass. 14578/07 cit.).

Secondo la Cassazione, quel che rileva, per affermare la responsabilità ex art. 2049 c.c., è la verifica in concreto del rapporto tra i soggetti, in particolare, con riferimento al rapporto tra la società di assicurazione e l’agente di zona, la circostanza della facoltà, in capo all’agente, di stipulare le polizze e riscuotere personalmente i premi, non essendo nemmeno necessario che l’agente sia munito di poteri di rappresentanza.

Ciò giustifica la ratio riconducibile all’esigenza di tutelare l’affidamento del terzo quando si rapporti con “appendici” della propria controparte, su cui è giustificato ricadano le conseguenze del danno subìto, secondo il principio del rischio d’impre­sa quale criterio di imputazione di responsabilità.

Si tratta, come noto, di uno sviluppo logico che collega il rischio al profitto, facendo gravare la responsabilità – oggettiva – sul soggetto che consegue un beneficio economico dall’attività considerata.

L’art. 2049 c.c. individua in effetti una ipotesi di responsabilità oggettiva, indipendente, cioè, dalla colpa del soggetto chiamato a rispondere, in quanto il dolo e la colpa vanno valutati solo con riferimento al comportamento dell’ausiliario, sicché l’as­sicuratore risponde del danno causato dall’agente infedele il quale abbia incassato e trattenuto per sé il premio, senza promuovere la stipula di alcun contratto assicurativo, perché la responsabilità del preponente ex art. 2049 c.c. si fonda sulla mera circostanza dell’inserimento dell’agente nell’impresa.

Il nesso di occasionalità necessaria deve ritenersi sussistente tutte le volte in cui la condotta dell’agente sia strumentalmente connessa con l’attività oggetto del man­dato conferito. È sufficiente che il mandatario si avvalga della sua qualità di rappresentante per consumare l’illecito e che l’attività da lui posta in essere appaia al terzo in buona fede come rientrante nei limiti del mandato; anche l’attribuzione all’agente della facoltà di riscuotere i premi secondo la previsione di cui all’art. 1744 c.c., o comunque l’indicazione al creditore che lo stesso sia stato autorizzato a ricevere il pagamento a norma dell’art. 1188 c.c., sono elementi idonei ad instaurare un rapporto di commissione atto a far sorgere ex art. 2049 c.c. la responsabilità di chi ha conferito l’incarico.

Svolte tali premesse di ordine generale in merito alla astratta applicabilità del­l’art. 2049 c.c., nella fattispecie concreta si ritiene, tuttavia, che non ne sussistano i presupposti, per diversi ordini di ragioni, sì da doversi escludere l’invocata responsabilità extracontrattuale della convenuta compagnia assicurativa.

È vero che la Cassazione ha affermato che “la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità dif­formi da quelle con cui quest’ultimo sarebbe legittimato a riceverle, non vale, in caso di indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell’attività dello stesso e la consumazione dell’illecito, e non preclude, pertanto, la possibilità di invocare la responsabilità solidale dell’intermediario preponente” (Cass. 7 aprile 2006, n. 8229).

Un simile comportamento non è in sé idoneo, secondo la suprema Corte, ad escludere la responsabilità dell’intermediario, occorrendo, a tal fine, “che i rapporti tra promotore e investitore presentino connotati di anomalia, se non addirittura di connivenza o di collusione in funzione elusiva della disciplina legale”, di talché incombe all’intermediario l’onere “di provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore” (Cass. 19 marzo 2010, n. 6708; Cass. 25 gennaio 2011, n. 1741; Cass. 24 marzo 2011, n. 6829).

Tuttavia, nel caso di specie, la compagnia di assicurazione ha sin da subito evidenziato l’anomalia dei rapporti tra l’agente e l’attrice in ragione dell’asserito pagamento di una ingente somma di denaro con assegno non intestato alla compagnia, sì da far dubitare della credibilità della circostanza, a fronte di un contratto di cui è stata contestata la validità e che è stato formalmente disconosciuto.

Né l’attrice ha giustificato in maniera adeguata tale modalità di pagamento.

Inoltre, si può correttamente ritenere applicabile l’art. 1227 c.c., per aver la condotta dell’attrice concorso in maniera determinante alla causazione del preteso danno extracontrattuale: non appare in particolare la condotta dell’attrice rispondente al principio di autoresponsabilità, principio che deve governare i rapporti tra le parti e che giustifica la tutela dell’affidamento incolpevole.

Le particolari circostanze addotte dalla stessa parte attrice portano in effetti a dubitare, anche alla luce delle ampie considerazioni svolte dalla difesa della compagnia, dell’esistenza, nel caso di specie, delle condizioni per poter legittimamente invocare l’applicazione della norma dell’art. 2049 c.c.

Si è detto sopra, in termini generali, quali siano i presupposti che fondano – in astratto – la responsabilità della compagnia assicurativa, ex art. 2049 c.c., per il fatto illecito dell’agente.

Nel caso di specie parte convenuta ha evidenziato e documentato che il contratto di agenzia in gestione libera è intercorso dal 9 luglio 1986 tra la compagnia U.A. e la società commerciale P. s.n.c. – Previdenza Finanziaria e Assicurativa di F.S. e M.M., che ha come oggetto l’attività di agenzia di assicurazioni, agenzia o intermediario di società di leasing, factoring, fondi comuni di investimento, prestiti, finanziarie in genere (doc. 3 parte convenuta) e che aveva, oltre che i due soci, due dipendenti.

È dunque difficile considerare la P. s.n.c. – società commerciale che assume su di sé il rischio di impresa – un “commesso”, a norma dell’art. 2049 c.c.

Inoltre, come risulta dal contratto di agenzia, né la società P. né le sue agenzie potevano stipulare, per conto della U., contratti di assicurazioni sulla vita, sicché può essere legittimamente messo in dubbio, in ipotesi di eventuale stipulazione di false polizze di assicurazione sulla vita da parte della P., quel rapporto di pertinenza tra incombenze demandate all’agente (e sulle quali la compagnia ha la possibilità di esercitare poteri di direttiva e vigilanza) e attività delittuosa dello stesso, tale da fon­dare quel principio di occasionalità necessaria – di cui si è detto – presupposto per una applicazione estensiva dell’art. 2049 c.c.

Con la memoria di replica U. ha depositato la sentenza penale del Tribunale di Padova che ha condannato gli agenti della P., tra cui M.M., per associazione a delinquere, riconoscendo che «quanto alla posizione di U.A. S.p.A. quale responsabile civile, che viene in rilievo ai sensi dell’art. 2049 c.c., va osservato che la condotta degli imputati è consistita nel porre in essere un’attività di assicurazione parallela a quella ufficiale, sfruttando il nome della compagnia e ingannandola. Lo stesso F.S., nel proprio interrogatorio ha affermato che “a livello centrale non si sono mai accorti delle polizze fasulle anche perché non potevano accorgersene ... Anche durante le ispezioni gli ispettori non avevano modo di rendersi conto di quello che facevamo: chiedevano gli estratti conto bancari e quando io e M. andavamo in banca a fare il saldo, provvedevamo a modificare e a falsificare i documenti per nascondere la situazione agli ispettori in modo da consegnare un estratto conto pulito e regolare”. E in effetti la costituzione di conti paralleli dove far transitare i premi delle polizze irregolari, il mancato inserimento nel data base della compagnia dei relativi contratti e la complessiva attività di camuffamento aveva impedito, nonostante le ispezioni e i controlli, alla U. di rendersi conto di quanto stesse accadendo. È proprio l’esistenza di questa struttura parallela e nascosta che si ritiene spezzi il legame causale tra la condotta, peraltro esente da colpa, di U.A., essa stessa ingannata e danneggiata dalla condotta degli imputati, e il danno subìto dalle parti civili. Pertanto le domande risarcitorie a suo carico vanno respinte» (cfr. sentenza Tribunale penale di Padova allegata alla memoria di replica della convenuta).

Le domande di parte attrice nei confronti della U.A. S.p.A. vanno, dunque, integralmente rigettate.

Va invece accolta la domanda subordinata svolta nei confronti del M., rimasto contumace, di condanna al risarcimento dei danni subìti dall’attrice a causa degli il­leciti civili e penali posti in essere in suo danno dal M.

Il documento 5 prodotto dall’attrice – inutilizzabile, per quanto sopra esposto nei confronti della U. – costituisce, invece, prova contro il M. del versamento a suo favore della somma di euro 34.947,50, per la quale il M. ha rilasciato quietanza.

Inoltre, dall’estratto della Cassa di Risparmio, relativo al contratto di conto corrente intestato alla sig.ra S.E. e alla sig.ra L.F., risulta l’uscita in pari data della somma di euro 35.000,00 per il pagamento dell’assegno n. (Omissis), di cui l’attrice ha depositato la matrice; inoltre, è stato documentato l’accredito da parte delle stesse della medesima somma di euro 35.000,00 (docc. 6-8).

È pacifico che, a seguito della consegna della somma di denaro al M., non sia stata sottoscritta alcuna valida polizza vita intestata a L.F., sicché risulta provato che tale versamento sia stato il frutto di una condotta illecita del M. che, illecitamente si è poi appropriato della somma.

Il fatto è comprovato da quanto accertato nella sentenza penale del Tribunale di Padova prodotta nel presente procedimento, sopra richiamata.

Di conseguenza, ritenuta la prova del versamento (indebito) della somma di euro 35.000,00 a favore del M., in conseguenza della condotta illecita e truffaldina da questi posta in essere, M.M. va condannato a corrispondere all’attrice, a titolo di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., la predetta somma di euro 35.000,00, oltre agli interessi legali dalla data della consegna della somma al saldo.

Il risarcimento del danno va contenuto nella predetta somma indebitamente versata, non alla maggior somma corrispondente al mancato guadagno promesso di euro 44.58545, del tutto ipotetico ed aleatorio.

Pertanto, M.M. va condannato a risarcire all’attrice il danno subìto per la condotta illecita dello stesso, pari alla somma di euro 35.000,00, cui si aggiungono gli interessi legali maturati dalla data dei versamenti; nulla è invece dovuto a titolo di rivalutazione monetaria, in assenza di allegazioni da parte dell’attrice volte a dimostrare che la somma sarebbe stata reimpiegata e così sottratta al deprezzamento della moneta.

La decisione sulle spese – liquidate in dispositivo – segue la regola della soccombenza nei rapporti tra l’attrice e M.; sussistono invece giusti motivi – individuati nella complessità delle questioni trattate e in ragioni di equità – per la compensazione della metà delle spese nei rapporti tra attrice e U., mentre la residua metà segue la regola della soccombenza. (Omissis).

 

 

II

 

Il Tribunale (Omissis).

 

FATTO

 

Con atto di ricorso ex 702 bis c.p.c. il sig Lu. evocava in giudizio la Groupama Assicurazioni S.p.A. assumendo di aver intrattenuto un rapporto assicurativo con la locale agenzia Finital e più specificatamente con il subagente Ro. per il tramite del quale aveva sottoscritto due polizze vita; che la prima di queste era stata regolarmente incassata alla scadenza; che al momento di incassare la seconda polizza invece si era visto opporre il rifiuto da parte della compagnia, rifiuto motivato dalla circostanza della inesistenza della suddetta polizza e dal conseguente mancato versamento di tutti i premi; che il rapporto, invece, si era regolarmente intrattenuto con detto subagente il quale aveva puntualmente incassato i premi rilasciando regolare quietanza; chiedeva quindi la condanna della compagnia al pagamento delle somme versate quali premi.

Fissata l’udienza e notificato il ricorso, si costituiva la Groupama contestando le avverse richieste e deducendo la propria carenza di legittimazione passiva; che non fosse mai venuta ad esistenza una polizza; che l’attore era in possesso solo di una proposta di polizza; che tale polizza non era mai stata sottoscritta dalla compagnia; che la compagnia non aveva mai ricevuto i premi; che l’attore aveva effettuato pagamenti in contanti in contrasto con le disposizioni di legge; che la responsabilità non potesse essere comunque addebitabile alla compagnia, ma in denegata ipotesi al solo agente Finital S.p.A., di cui si faceva chiamata in causa, anche ai fini di una eventuale manleva.

Il G.I. autorizzava la chiamata.

Si costituiva la Finital contestando le richieste attoree deducendo l’inesistenza della polizza vita, mai sottoscritta né mai consegnata al Lu.; prospettava dunque la propria carenza di legittimazione passiva e chiedeva la chiamata in giudizio del Ro., nei cui confronti faceva comunque domanda di manleva.

Il G.I. autorizzava la chiamata ma il Ro. rimaneva contumace.

Convertito il rito da sommario in ordinario, all’esito delle memorie ex art. 183 c.p.c. la causa era istruita a mezzo prove testimoniali e quindi inviata all’udienza odierna per la discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.

 

DIRITTO

 

La domanda di parte attrice va accolta nei limiti di cui di seguito.

Lo svolgimento dei fatti così come narrati da parte attrice non appare contestato ed è stato comunque confermato dalle prove testimoniali svolte.

Quindi appare accertato che il sig. Lu. avesse intrattenuto un rapporto continuativo con l’agenzia Finital nella persona del subagente Ro.; che con questi aveva sottoscritto una prima polizza vita e quindi una seconda polizza; che il Lu. aveva provveduto al pagamento regolare dei premi di polizza con versamenti in contanti debitamente quietanzati dal Ro.; che i rapporti con il Ro. si erano sempre svolti all’in­terno degli uffici dell’agenzia; che la prima delle due polizze era stata regolarmente liquidata alla scadenza; che invece la compagnia aveva rifiutato la liquidazione della seconda polizza dichiarandone l’inesistenza; che la Finital era regolare agente della Groupama e che Ro. era subagente della Finital.

Partendo da tali emergenze istruttorie discende la responsabilità solidale dei convenuti nei confronti di parte ricorrente.

Come chiarito dalla giurisprudenza di merito, il rapporto instaurato tra il Lu. e il Ro. non appare idoneo a far sorgere un rapporto contrattuale tra il primo e Groupama. La presenza di un “contratto”, in effetti non di un vero contratto si tratta ma di una proposta a cui non appare essere corrisposta alcuna formale accettazione di Groupama, sottoscritto dal solo subagente non è idoneo a costituire un completo rapporto contrattuale, come sarebbe stato nel caso di contratto venuto ad esistenza in cui poi il subagente avesse limitato la sua opera fraudolenta alla sottrazione dei premi annuali. È questo il caso tutelato dall’art 118 cod. ass. che non appare applicabile al caso in esame. L’assenza di un qualsivoglia potere di rappresentanza da parte del Ro. riferibile alla Groupama esclude la sussistenza del contratto e dunque che il ricorrente possa vantare nei confronti della compagnia i diritti nascenti dal supposto contratto.

Detto ciò, deve giungersi a configurare però un profilo di responsabilità nei confronti sia di Finital che di Groupama per l’attività illecita posta in essere dal subagente ai danni del sig. Lu.

La Cassazione (Sez. III, sentenza 4 novembre 2014, n. 23448) pur occupandosi di un caso solo apparentemente analogo, in cui era stata però negata la responsabilità della società agente, con tale sentenza ripercorre i tratti della responsabilità in tema di assicurazioni ricordando che: «In materia questa Corte – dopo avere in generale ammesso l’applicabilità dell’articolo 2049 c.c., anche in materia di assicurazione (tra le meno recenti: Cass. 19 dicembre 1995, n. 12945; 27 giugno 1984, n. 3776), essendo irrilevante che sussista o meno un rapporto di lavoro subordinato tra agente e preponente (Cass. 21 giugno 1999, n. 6233; Cass. 17 maggio 1999, n. 4790; Cass. 3 aprile 2000, n. 4005) – ha statuito che:

– sussiste la responsabilità ex articolo 2049 c.c. dell’assicuratrice per il fatto lesivo causato dall’attività illecita posta in essere dall’agente, ancorché privo del potere di rappresentanza, il quale sia stato determinato, agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli e su cui la medesima aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (Cass. 22 giugno 2007, n. 14578; nello stesso senso: Cass. 11 febbraio 2010, n. 3095; Cass. 27 giugno 2011, n. 14086);

– sussiste inoltre la responsabilità del padrone o committente pure se l’agente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni od agito all’insaputa del datore di lavoro o del preponente (Cass. 6 marzo 2008, n. 6033), sempre che sia rimasto comunque nell’ambito dell’incarico affidatogli (Cass. 4 aprile 2013, n. 8210). In particolare (come puntualizza testualmente Cass. 16 maggio 2012, n. 7634 – ripresa in buona parte anche da Cass. 19 giugno 2012, n. 10032 – ove ulteriori riferimenti e richiami di precedenti della giurisprudenza di questa Corte regolatrice):

– i padroni e committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti;

– la responsabilità del preponente ex articolo 2049 c.c., sorge per il solo fatto dell’inserimento dell’agente, cioè di colui che ha posto in essere la condotta dannosa nell’impresa, senza che assumano rilievo né la continuità dell’incarico affidatogli, né l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato: basta che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dall’imprenditore e che il commesso abbia svolto la sua attività sotto il controllo del primo atteso che il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, ancorché non alle sue dipendenze, risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi; essendo sufficiente, per il detto fine, un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se il dipendente (o, comunque, il collaboratore dell’imprenditore) abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro. La responsabilità di colui che comunque fruisce dei risultati dell’attività del dipendente, collaboratore o simile, può sussistere, peraltro ed in alternativa, anche su diversa base.

Invero, in applicazione del principio dell’apparenza del diritto, riconducibile a quello più ampio della tutela dell’affidamento incolpevole, va tutelato chi ha contrattato con colui che appariva in grado di impegnare altri, alla duplice condizione della buona fede del primo e di una condotta quanto meno colposa dell’ultimo, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentare o di impegnare sia stato effettivamente e validamente conferito a chi ne è apparso, nella contrattazione col terzo, dotato (tra le molte, per limitarsi alle più recenti: Cass. 9 marzo 2012, n. 3787; Cass. 8 febbraio 2007, n. 2725; Cass. 13 agosto 2004, n. 15743; Cass. 22 aprile 1999, n. 3988, che precisa pure l’applicabilità del principio ai negozi per i quali sia richiesta la forma scritta ad probationem; in generale, sul principio si sono espresse, sia pure incidenter tantum, anche le Sezioni Unite di questa Corte regolatrice, con le sentenze nn. 22910 del 26 ottobre 2006, 5035 dell’8 aprile 2002 e 3083 del 1972). Il carattere generale (di tale principio) ne consenta l’estensione proprio alla fattispecie dell’occasionalità necessaria indispensabile per la configurabilità della responsabilità ai sensi dell’articolo 2049 c.c. (...). Pertanto, mentre la responsabilità prevista dall’articolo 2049 c.c., si configura, in ipotesi di rapporto di occasionalità necessaria tra condotta lesiva ed attività del datore di lavoro o preponente o committente o padrone per il solo fatto dell’inserimento dell’agente nella struttura organizzativa del primo e prescinde da ogni elemento soggettivo in capo a lui, al contrario, ove quel rapporto sia soltanto apparente – e cioè se non corrisponde al concreto ed effettivo ambito dei poteri dell’agente – la responsabilità sussiste solo all’ulteriore duplice condizione della buona fede del terzo e di una colpa dell’apparente preponente idonea ad ingenerarne l’affidamento».

Appaiono dunque sussistere in via concorrente tali responsabilità: ex 2049 c.c. quella di Finital, quella dell’apparenza del diritto a tutela della buona fede contrattuale per Groupama.

Entrambe fanno riferimento in concreto alla stessa condotta, ossia quella posta in essere dal Ro. sopra descritta. Non vi è dubbio infatti, né è contestato, che questi fosse un subagente di Finital e che usufruisse delle sue strutture, inserito stabilmente nella sua organizzazione.

Per quanto riguarda Groupama, ricordato come se pure non appaiono direttamente applicabili le disposizioni citate da parte ricorrente dell’art. 118 cod. ass. e neppure quelle relative all’intermediazione finanziaria (anche se molti dei prodotti attualmente gestiti in ambito assicurativo presentino innegabili affinità con l’attività di intermediazione in cui tale responsabilità è esplicitata per legge) la tendenza è di riconoscere una protezione ampia al contraente incolpevole che abbia fidato su una situazione di fatto falsamente prospettatagli. Nel caso che ci occupa l’affidamento incolpevole del Lu. appare sicuramente provato. Il ricorrente è un signore anziano, non è un esperto di questioni assicurative o finanziarie, ha trattato sempre e continuativamente all’interno di un’agenzia (regolare agente Groupama) ben distinta e caratterizzata pubblicitariamente e usufruendo più volte dei prodotti della compagnia madre. Nessun dubbio che egli fosse più che convinto di trattare con personale che aveva pieno potere di impegnare la compagnia, e tale inganno è stato rafforzato dall’utilizzo di idonei mezzi di “distrazione”: la proposta contrattuale su moduli Tirrena, le quietanze con timbri Tirrena, la piena operatività (non contestata) della precedente polizza stipulata con modalità assolutamente analoghe.

Non appaiono idonei ad interrompere tale catena fraudolenta né la dedotta mancata consegna della polizza originale né la consegna dei premi in contanti: tali aspetti risultano infatti secondari e non idonei a costituire un indice di allarme sufficiente per un soggetto mediamente avveduto.

Non appare accoglibile l’eccezione dei convenuti tendente ad evidenziare una inammissibile domanda nuova di parte ricorrente sviluppata nelle memorie ex art 183, VI, comma 1. La domanda infatti era stata compiutamente sviluppata sin dal ricorso, ossia ottenere la restituzione dei premi indebitamente versati; è compito del giudicante assegnare a tale richiesta il corretto nomen iuris restando indifferente che la domanda sia stata inizialmente proposta quale azione di adempimento contrattuale, peraltro se di vera domanda di adempimento si fosse trattata il ricorrente avrebbe dovuto richiedere non la restituzione dei premi bensì quanto a lui spettante sulla base del completo rapporto contrattuale.

Il risarcimento dovuto corrisponde pertanto all’entità dei premi versati, così come da quietanze emesse, e trattandosi di debito di valuta a questi andranno aggiunti esclusivamente gli interessi legali dal singolo pagamento al saldo.

Ovvio da quanto sopra esposto che la responsabilità principale e diretta sia riconducibile al subagente Ro., per la sua condotta fraudolenta nei confronti del Lu. ed a cui pertanto deve essere ascritta in via primaria. Le responsabilità della Finital e della Groupama discendono quindi solo in via solidale e tra di loro gradata, ciò in quanto Finital appare a sua volta responsabile nei confronti di Groupama per l’illecita attività posta in essere dal suo subagente, riverberandosi nei loro rapporti interni in forza dell’art. 2049 c.c., rapporti interni di agenzia che invece nulla hanno a che vedere con il ricorrente.

La condanna alle spese, liquidate come in dispositivo, segue la stessa graduazione. (Omissis).