Il saggio mette in evidenza come nelle norme di legge e nella giurisprudenza vada emergendo il riconoscimento di un interesse a prodotti adeguati con obblighi corrispondenti per gli assicuratori e gli intermediari i quali dovranno dotarsi di regole di governance per individuare il target market dei prodotti da offrire e verificarne la rispondenza alle esigenze del mercato di riferimento.
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1. Dai Fiduciary duties alla suitability rule - 2. Adeguatezza e appropriatezza nella disciplina dei mercati finanziari - 3. Disclosure or abstainrule - 4. Conseguenze civilistiche - 5. Adeguatezza e meritevolezza - 6. L’adeguatezza come percorso - NOTE
Per approcciarci a parlare di appropriatezza e adeguatezza occorre muovere dal passaggio dai fiduciary duties alla suitability rule nella regolamentazione della distribuzione assicurativa [1] ovvero dal passaggio dagli obblighi che nascono dal rapporto fiduciario tra l’intermediario e/o l’assicuratore e il cliente nella distribuzione del prodotto che, per disposizione di legge, è arricchito di obblighi di informativa e di consulenza volti a corroborare il consenso prestato dal cliente per arrivare ad un obbligo a fornire al cliente un prodotto che risponda alle sue esigenze [2], obbligo che vede necessariamente un’interazione di assicuratore e intermediario nella product governance che rappresenta un punto di contatto tra la direttiva sulla governance dell’impresa (Solvency II, direttiva 2009/138/CE) e la direttiva sulla distribuzione dei prodotti (IDD, direttiva (UE) 2016/97 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 gennaio 2016 sulla distribuzione assicurativa (rifusione) Testo rilevante ai fini del SEE, da ora in poi IDD). Per comprendere quest’ultimo aspetto occorre muovere dell’attuazione della direttiva Solvency II e della correlata gestione dei rischi di impresa assicurativa perseguendo l’obbiettivo di realizzare un regime prudenziale che tenga conto dei rischi assunti. A questi, e non più solo al patrimonio dell’impresa assicurativa, si rapporta la solvibilità ovvero ai rischi di sottoscrizione, ai rischi di mercato, ai rischi di credito, rischi operativi, di liquidità, rischi di concentrazione [3]. Solvency II mira ad aggiornare l’attuale regolamentazione prudenziale delle assicurazioni europee imponendo alle compagnie di mantenere un margine di risorse patrimoniali supplementari a garanzia della propria attività. Con Solvency I l’ammontare di capitale regolamentare era determinato in cifra fissa in percentuale delle riserve matematiche e dei capitali sotto rischio nei rami vita, in percentuali dei premi annui o dell’onere medio dei sinistri nei rami danni. Solvency II, pur seguendo lo stesso approccio prevede margini di protezione patrimoniale non più calcolati strettamente e a monte in misura fissa ma destinati a cambiare in relazione agli effettivi rischi dell’impresa, a quelli assicurativi veri e propri e a quelli del portafoglio d’investimento. In questo senso si parla, [continua ..]
I concetti di adeguatezza e appropriatezza dei prodotti proprie della suitabilityrule trovano riscontro nel testo di Mifid e nel reg. CONSOB n. 16190/2007. Qui si dice, all’art. 40, che “gli intermediari, sulla base delle informazioni ricevute dal cliente e tenuto conto della natura e delle caratteristiche del servizio fornito,devono valutare se la specifica operazione consigliata o realizzata nel quadro della prestazione del servizio di gestione di portafogli soddisfi i seguenti criteri cui è improntato il giudizio di valutazione della adeguatezza: a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente;b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all’operazione o alla gestione del suo portafoglio” . L’adeguatezza deve considerare il profilo complessivo delle operazioni poste in essere dal cliente. Una serie di operazioni, ciascuna delle quali è adeguata se considerata isolatamente, può non risultare tale tenuto conto della frequenza che non è nel migliore interesse del cliente. Un’attenuazione degli obblighi è prevista quando gli intermediari forniscono il servizio di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafogli ad un cliente professionale. In questo caso la norma riconosce che essi possono presumere che, per quanto riguarda gli strumenti, le operazioni e i servizi per i quali tale cliente è classificato nella categoria dei clienti professionali, egli abbia il livello necessario di esperienze e di conoscenze ai fini della valutazione in proprio della corrispondenza dell’investimento aipropri obbiettivi, della possibilità di comprendere e sopportare il rischio connesso. Quanto all’appropriatezza l’art. 42 dice che “gli intermediari verificano che il cliente abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento o il servizio di investimento offerto o richiesto comporta”. Queste regole sono riferite all’intermediario assicurativo in IDD. Lo stretto collegamento tra IDD e Mifid2 fa riflettere sulla tendenziale unitarietà delmercato finanziario e di [continua ..]
L’art. 30 disciplina anche l’eventualità che il cliente non voglia rispondere alle domande contenute nel questionario sull’adeguatezza. Qui si prevede che “Qualora i clienti o potenziali clienti non forniscano le informazioni di cui al primo comma oppure forniscano informazioni insufficienti circa le loro conoscenze ed esperienze, l’intermediario assicurativo o l’impresa di assicurazione li avverte che non è in grado di determinare se il prodotto sia adatto a loro. Quest’avvertenza può essere fornita utilizzando un formato standardizzato”. In questa disposizione parrebbe contenuta la regola “Disclosure or abstain” per cui il cliente se non dà le informazioni che rendono possibile la valutazione dei suoi profili di adeguatezza e idoneità non consente all’intermediario di offrirgli il prodotto adeguato [9]. Questo vuol dire che non si può procedere alla conclusione del contratto anche ove il cliente manifesti una cosciente intenzione di procedere alla stipulazione del contratto in ognicaso? [10]. Sul punto la nostra giurisprudenza pur non riconoscendo un obbligo per i clienti a rilasciare informazioni e un obbligo per l’intermediario, in caso di mancata disclosure, di astenersi da portare a conclusione il contratto, afferma che l’obbligo di valutare l’idoneità e la adeguatezza non viene meno in caso di mancata risposta del cliente. Si dice infatti che “In tema di intermediazione finanziaria, la mancata offerta di informazioni da parte del cliente certo non esime la banca dal dovere di capire l’atteggiamento e i bisogni di investimento del cliente, né dal fornire tutte le informazioni idonee a consentire al cliente di addivenire ad impartire consapevolmente l’ordine di acquisto, essendogli note caratteristiche, tipologie e rischi connessi all’investimento. La banca è anche tenuta a valutare comunque l’adeguatezza dell’operazione, nel qual caso quella valutazione va condotta in base ai princìpi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui l’intermediario sia in possesso come, ad esempio, l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse e abituali, la situazione di [continua ..]
È possibile ricondurre detti obblighi di adeguatezza e appropriatezza a regole di condotta incidenti, secondo la nota partizione tra regole della validità e regole della responsabilità, sul piano risarcitorio [12]. Validità e responsabilità agirebbero a livelli diversi: la prima sarebbe conseguente ad un giudizio sul contratto; la seconda, invece, dipenderebbe esclusivamente da una valutazione circa l’offensività della condotta ancorché questa abbia costituito la premessa della conclusione del contratto stesso [13]. Chi sostiene che detta soluzione sia superata dalla presenza di norme di legge che individuano nella nullità la conseguenza della violazione di regole di condotta (il riferimento che viene fatto è alla nullità delle clausole vessatorie nei contratti coi consumatori – oggi prevista all’art. 36 cod. cons.– e all’abuso di dipendenza economica nei contratti di subfornitura ex art. 9, l. n. 192/1998), arriva a concludere che anche nelle ipotesi in esame la soluzione è individuabile nell’art. 1418: nullità per violazione di norme imperative [14]. Diverse le conclusioni cui si addiviene inserendo le formalità all’interno di una logica di procedimento contrattuale improntato sui concetti di “‘svolgimento’, ‘esercizio’ dei poteri” contrattuali [15]. A ben vedere gli obblighi documentali in esame pur essendo esterni al contratto sarebbero indirizzati allo “‘svolgimento’, ‘esercizio’ dei poteri” contrattuali. Gli obblighi di informativa in fase precontrattuale sono ordinati all’espressione di un consapevole consenso a contrarre. Se così è il mancato adempimento a questi obblighi documentali importerebbe carenze informative che potranno incidere sulla formazione del consenso del contrante alla cui tutela sono state disposte. La disciplina che potrebbe trovare applicazione è quella del dolo, qualcuno precisa del dolo omissivo [16]. Pertanto l’atto sarà annullabile ove si provi, anche in via presuntiva, che “il contraente disinformato” non avrebbe dato il proprio consenso. In tal caso gli dovranno essere risarciti anche gli eventuali danni patiti in base all’art. 1439. Se invece questi avrebbe dato il proprio consenso, ma a [continua ..]
Secondo una lettura dell’art. 1322 c.c. che va prendendo corpo nella dottrina e nella giurisprudenza la norma nel riconoscere la libertà delle parti nel determinare il contenuto del contratto nei limiti della meritevolezza degli interessi perseguiti non introduce un criterio di valutazione della ammissibilità dei contratti atipici, ma apre ad un generalizzato controllo sul contenuto del contratto [23]. Anche nei contratti tra professionisti, come nel caso di una polizza stipulata tra un’impresa di assicurazione e un avvocato ad esempio, vi sarà possibilità di operare un controllo sul contenuto in analogia con quanto previsto dalla disciplina delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori di cui all’art. 33 cod.ass. (d.lgs. n. 206/2005). Ricordiamo su punto la sentenza della Corte di Cassazione in materia di clausole claims made: “Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (cd. clausola “claims made” mista o impura), non è vessatoria, ma, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero – ove applicabile la disciplina del d.lgs. n. 206/2005 – per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali; la relativa valutazione va effettuata dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità quando congruamente motivata” [24]. L’adeguatezza è stata considerata dalla nostra giurisprudenza con riferimento al giudizio di meritevolezza delle c.d. clausole claims made impure ovvero le clausole claims made con una retroattività limitata. I tribunali dimostrano infatti di aver valutato al fine del giudizio di meritevolezza delle clausole il fatto che il professionista assicurato per la propria responsabilità fosse o meno un esordiente [25] o la natura dell’opera intellettuale [26].
L’adeguatezza è un percorso che si attua nella dinamica di produzione e distribuzione secondo nuove sinergie che importano un dialogo continuo tra produttori e distributori volto a rispondere alle esigenze del mercato. La tutela dei contraenti e degli assicurati non è limitata all’imposizione di una regolamentazione del rapporto intermediario-investitore, ma viene portata all’interno dell’assetto organizzativo dell’intermediario imponendo a questi una serie di vincoli volti ad assicurare che la tutela dell’investitore divenga parte del modello di compliance dell’intermediario stesso. Parlare di tutela dell’investitore in termini di Governo dei Prodotti impone all’intermediario lungo tutta la catena del valore del prodotto finanziario, dalla sua creazione alla sua distribuzione, di considerare la centralità dell’interesse del potenziale cliente-investitore. Questa dinamica propria dei prodotti finanziari finisce con IDD per riproporsi anche per gli intermediari (o forse è meglio dire i “distributori”) assicurativi nel momento in cui si parla di obbligo di adeguatezza e attuazione del “best interest of the customer”. La governance del prodotto, che nel mercato assicurativo, come detto, era più propriamente a carico dell’assicuratore si sposta a carico dell’intermediario, imponendo alle imprese, però, nuovi obblighi di governancenella gestione dei loro rapporti con i mandatari secondo nuove sinergie tra imprese e intermediari, con un chiaro indirizzo di funzionalizzazione del contratto agli interessi del cliente.