Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, componendo i precedenti contrasti, hanno stabilito che la clausola claims made in astratto non può dirsi vessatoria, né costituisce un patto immeritevole di tutela ai sensi dell’articolo 1322 c.c. Hanno, tuttavia, ribadito il dovere dell’intermediario di informare adeguatamente l’assicurato sugli effetti della suddetta clausola, e di astenersi dal proporre coperture assicurative on claims made basis, quando nel caso concreto non siano coerenti con gli interessi dell’assicurato.
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1. Premessa - 2. Breve riassunto delle puntate precedenti - 3. Il controllo sulla fase delle trattative - 4. Il controllo sull’adeguatezza del contratto - 5. Conclusioni - NOTE
Con la sentenza 24 settembre 2018, n. 22437 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno dichiarato valida e lecita in astratto la clausola claims made contenuta in un contratto di assicurazione, ma nello stesso tempo hanno accolto il ricorso dell’assicurato che, sulla base di quella clausola, si era visto rigettare dal giudice di merito la domanda di indennizzo. Non si tratta ovviamente di un’aporia zenoniana, ma della necessaria ed inevitabile conseguenza dall’ampio e complesso percorso argomentativo che sta dietro l’affermazione della validità della clausola. La Corte, infatti, non si è limitata a stabilire se un certo patto incluso nelle polizze di assicurazione della responsabilità civile sia o non sia valido, ma ha elencato una lunga serie di verifiche che il giudice deve compiere per valutare se quel patto, lecito in astratto, possa anche dirsi adeguato alle esigenze dell’assicurato nel caso concreto. Ed è su questo punto, ad avviso di chi scrive, che la sentenza è destinata a produrre rilevantissimi effetti sul piano pratico, validi per ogni tipo di contratto assicurativo e ogni tipo di clausola atipica, e dunque anche al di là del circoscritto dibattito sulla validità della clausola claims made. Nel presente scritto si cercherà di dar conto di quali e quanti possano essere questi effetti.
2.1. La clausola claims made è il patto in virtù del quale l’assicuratore della responsabilità civile si obbliga a tenere indenne l’assicurato dei danni causati a terzi, a condizione che la richiesta risarcitoria da parte del terzo gli pervenga durante il periodo di efficacia della polizza. Questo tipo di patto conosce numerose varianti, ma per i fini che qui rilevano possiamo limitarci alla sua forma più frequente. Essa si sviluppò negli anni Ottanta del XX sec. negli USA, e negli anni Novanta comparve anche da noi. Suscitò immediatamente aspri contrasti, al pari di tutti i Paesi di civil law nei quali prese a diffondersi (Francia, Spagna, Belgio) [1]. Una parte della giurisprudenza lo bollò come nullo, con motivazioni varie: taluni fecero leva sul rilievo che, in virtù di quel patto, sarebbe stato possibile coprire la responsabilità dell’assicurato per fatti già commessi al momento della stipula del contratto, a condizione che il terzo danneggiato ancora non gliene avesse domandato il risarcimento. La clausola avrebbe dunque garantito anche i rischi putativi, in contrasto col generale divieto di assicurare rischi inesistenti (art. 1895 c.c.) [2]. Altra parte lo ritenne valido, ma vessatorio, e quindi nullo se non approvato con le formalità (doppia sottoscrizione) di cui all’art. 1341 c.c. [3]. Altri, infine, lo ritennero valido, reputando che esso fosse espressione della libertà negoziale di cui all’art. 1322 c.c. [4]. Questi tormenti non lasciarono immune la giurisprudenza di legittimità. Questa dapprima si orientò verso la tesi della vessatorietà [5]; poi ritenne che la vessatorietà fosse possibile, ma dovesse essere accertata caso per caso dal giudice di merito [6]; quindi ritenne la clausola in esame valida nella parte in cui garantiva la copertura per i fatti commessi dall’assicurato prima della stipula, ma “dubbia” nella parte in cui escludeva la copertura per i fatti commessi dall’assicurato durante l’efficacia del contratto, ma il cui risarcimento gli fosse stato richiesto dal terzo danneggiato dopo la scadenza della polizza [7]. Un primo intervento delle Sezioni Unite (sollecitato dalle stesse parti, e non da un’ordinanza di rimessione) stabilì che la clausola claims made, nella [continua ..]
3.1. Il primo atto del controllo giudiziario di fronte ad un contratto con clausola claims made sarà rappresentato dalla verifica dell’iter attraverso il quale le parti sono pervenute all’approvazione di essa. L’intermediario assicurativo avrà, infatti, il dovere non solo di illustrare adeguatamente all’assicurando il contenuto della clausola ed i suoi effetti, ma anche, e prima ancora, quello di chiedersi se un contratto contenente un patto claims made sia effettivamente utile ed adeguato alle esigenze del cliente (così i §§ 18 e 18.1 della sentenza delle Sezioni Unite). Se l’intermediario non spiega il contenuto della clausola, ovvero propone un contratto on claims made basis non adeguato alle esigenze dell’assicurato, il contratto resterà valido, ma l’assicurato avrà diritto al risarcimento del danno: ed il danno sarà pari alla copertura di cui avrebbe goduto se, nell’ipotesi in cui fosse stato correttamente informato, si fosse potuto orientare verso un contratto di tipo diverso: e tanto “a prescindere dalla eventualità che la condotta scorretta [dell’intermediario] abbia potuto dar luogo ad un vizio del consenso”. In questo modo la Corte ribadisce con forza l’obbligo degli intermediari – ed ovviamente delle imprese, quando non si avvalgano di intermediari per la stipula dei contratti – di osservanza rigorosa dei doveri di informazione e di adeguatezza. I doveri di informazione ed adeguatezza sono imposti agli intermediari ed alle imprese assicuratrici dal disposto degli artt. 119 bis, 121 bis, 183 e 185 cod. ass.; nonché dal Regolamento IVASS 2 agosto 2018, n. 40 sulla disciplina dell’attività di intermediazione (obblighi di derivazione comunitaria e talora contenuti in norme dal sapore umoristico; si pensi, al riguardo, al comma 1 dell’art. 119 bis cod. ass., il quale proclama solennemente che “i distributori di prodotti assicurativi operano con (…) onestà”: quasi che, in assenza di tale decisivo precetto, fosse consentito ad agenti e broker essere disonesti!). Tuttavia già in passato la S.C. aveva ritenuto che, anche in assenza di tali norme speciali, il dovere per l’intermediario di informare l’assicurando, e proporgli solo contratti [continua ..]
Il secondo “controllo” che il giudice di merito è chiamato a compiere in presenza d’una polizza con clausola claims made è quello di corrispondenza tra il tipo di contratto e lo scopo del contratto. Stabilire, cioè, se quella clausola sia coerente con quello scopo assicurativo precipuo, avuto di mira dall’assicurato al momento della stipula. Un giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità, che dovrà avere riguardo: – alla causa concreta del contratto; – all’entità del premio, reputato dalla Corte “elemento determinante” ai fini della verifica dell’adeguatezza del contratto. Se non vengano superati questi due esami, la clausola claims made dovrà reputarsi nulla (senza travolgere l’intero contratto: così la sentenza, § 19.6). In sostanza, secondo le Sezioni Unite, la clausola in esame è valida in astratto, ma potrebbe essere in concreto nulla se: – l’inserimento di essa nel contratto non sia coerente con la causa concreta avuta di mira dalle parti; – il premio preteso dall’assicurato evidenzi uno “squilibrio giuridico” rispetto al rischio, per come delimitato attraverso la clausola claims made. Insomma, alla tesi della nullità della clausola claims made sempre e comunque, le Sezioni Unite hanno contrapposto la tesi della nullità caso per caso, che sarà onere del giudice di merito accertare e valutare. Anche su questo punto, è inutile nasconderselo, la decisione – ineccepibile sul piano teorico – comporterà in fase applicativa valutazioni molto delicate. Proverò a riassumerle qui di seguito, senza pretesa di completezza. 4.1. Partiamo dalla valutazione della coerenza tra patto claims made e causa concreta del contratto. Secondo la Corte, il patto è nullo se incoerente con tale causa concreta, ovviamente da apprezzare con riguardo alla specificità del singolo caso. Tale incoerenza credo debba dirsi sussistente quando il contratto escluda la copertura postuma e l’assicurato sia esposto a tale rischio; oppure escluda la copertura pregressa, e l’assicurato abbia necessità di tale copertura. In linea astratta più in là di questi due estremi non credo sia possibile spingersi, dal momento che il giudizio di [continua ..]
Il patto claims made, sembrano dunque dirci le Sezioni Unite, è astrattamente consentito alle parti e non costituisce una deroga vietata né dall’art. 1917 c.c., né alla causa aleatoria del contratto assicurativo; ma ciò non basta ancora per concludere che tutti i contratti contenenti clausole di questo tipo sono validi. Occorrerà sempre accertare in concretose quel patto possa dirsi valido, avuto riguardo al modo in cui è stato stipulato, al rapporto che lo lega alle altre clausole contrattuali, ed al modo in cui viene seguito. Un’affermazione, dunque, che se per un verso elimina i dubbi sulla possibilità di pattuire clausole claims made in astratto, dall’altro schiude nuovi ed ampi spazi al controllo del giudice di merito sulla liceità non solo di quel patto nel caso concreto, ma di ogni patto atipico contenuto in un contratto di assicurazione. Sicché non è esagerato affermare che la sentenza n. 22437/2018 delle Sezioni Unite sarà destinata a spiegare i suoi effetti su ogni tipo di polizza, e non solo nel campo dell’assicurazione della responsabilità civile.